Fondi europei: usati poco e male?

I fondi strutturali costituiscono la principale fonte di cofinanziamento che l’UE mette a disposizione di ciascun Paese, al fine di migliorare la qualità dei territori, in particolare delle aree più svantaggiate.
Il modo con cui vengono spesi, che fino a una decina d’anni fa interessava solo i pochi addetti ai lavori, oggi è diventato un tema di grande attualità e riguarda tutta l’opinione pubblica, grazie anche a iniziative come il sito OpenCoesione, che fornisce dati costantemente aggiornati e ne garantisce la trasparenza e l’accessibilità.

apprendiamo continuamente da fonti diverse che l’Italia, a causa di un’inefficienza sistematica, non ha speso per tempo i fondi di cui è destinataria e che questo ritardo si ripercuoterà inevitabilmente sulla programmazione 2014-20.
Nello specifico, le cause di ciò vengono spesso ricondotte ad alcune pratiche particolarmente diffuse:

la carenza di professionalità, sia del personale inviato a Bruxelles sia di quello interno alle aministrazioni, selezionato in base all’osservanza politica e non alle competenze specifiche di cui dovrebbe disporre;
l’uso improprio di fondi, come i finanziamenti alle varie sagre o a concerti, ufficialmente per promuovere la cultura locale, ma in pratica con il solo risultato di raccogliere consenso elettorale;
l’elevato tasso di frodi comunitarie, con la percezione impropria di fondi.

Però, come sottolineato in un interessante articolo di Viesti e Luongo del 2014,
lezioni-dallesperienza-italiana&catid=17:mezzogiorno&Itemid=63
la problematica è affrontata spesso in modo superficiale, basata su stereotipi e convinzioni preconcette, e non entra nel merito del problema. Secondo gli autori le criticità riguardano:

lo strumento dei fondi strutturali;
la relazione con le politiche pubbliche ordinarie che essi cofinanziano;
le specifiche condizioni del Mezzogiorno;
la capacità di trarre insegnamento dall’esperienza passata.

4 punti dell’articolo evidenziano limiti e indicazioni per il futuro

1. I fondi strutturali sostituiscono ormai normalmente la spesa ordinaria, ma rappresentano meno del 5% del totale della spesa pubblica. E’ molto improbabile, secondo gli autori, che “un intervento di tale entità possa essere di per sé sufficiente a mutare le sorti di un territorio così ampio come il Mezzogiorno, senza una profonda azione di potenziamento dell’intervento nazionale di sviluppo”

I forti ritardi che si registrano nella spesa dei fondi europei sono di tipo:
politico, in quanto spesso non si tengono in considerazione le passate esperienze riguardanti la propria o altre realtà e si affrontano nuovamente problemi già sperimentati.
amministrativo, sia a livello locale (bandi di gara, contratti con i beneficiari, controlli formali sulla rendicontazione) che nazionale (direttive, delibere, ecc.)
operativo, per cui una volta stabilito il piano politico e amministrativo, passa un ulteriore lasso di tempo prima dell’avvio del procedimento
di cassa, per cui, a causa anche dei vincoli imposti dal patto di stabilità le amministrazioni erogano con notevole ritardo le some dovute.

2. L’efficacia degli investimenti con i fondi europei è strettamente legata al raccordo con le politiche di tipo ordinario. Infatti, spesso i fondi europei costituiscono degli interventi straordinari, la cui sostenibilità nel tempo non può essere garantita. Ad esempio, con i fondi europei possono essere costruiti degli asili nido o nuovi tratti ferroviari, ma il mantenimento nel tempo degli uni e degli altri dipende dalla capacità di raccordare fondi europei e spesa ordinaria.

Il fatto che gli investimenti ordinari si siano drasticamente ridotti comporta, di conseguenza, che i fondi strutturali debbano coprire una vastissima gamma di ambiti: dalla banda larga, agli investimenti ambientali, dalla scuola ai servizi sociali, dalle politiche urbane a quelle per l’innovazione e la ricerca.
A ciò va aggiunto che su alcuni ambiti – ad esempio istruzione e occupazione – si sovrappongono competenze nazionali e regionali.
Tutti questi ambiti, poi, si declinano inevitabilmente in una miriade di interventi.
Il dato oggettivo è, secondo gli autori, che le amministrazioni non possono, e non per incompetenza, portare avanti una tale mole di progetti.

3. Manca la condivisione di buone pratiche, il coordinamento tra Regioni nell’attuazione di interventi. Anche i comuni tendono spesso a fare ciascuno per conto proprio.

4. Manca, in ultima analisi, una visione politica nazionale di ampio respiro, con un progetto di ristrutturazione di alcuni macrosettori a lungo termine.

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